Duckadam, Acrylic on canvas, 20X20, London October 2012
La sera del 7 maggio 1986 il calcio europeo si accinge a celebrare un trionfo tanto atteso quanto annunciato. Al Ramon Sanchez Pizjuan di Siviglia si gioca la finale di coppa dei campioni, e sugli spalti non c’è alcun dubbio su chi giochi in casa: 70mila culés, i tifosi del Barcellona, fremono nell’attesa di vedere i loro beniamini conquistare l’ambito trofeo, l’unico a livello UEFA che manchi alla bacheca del club. E di farlo in Spagna sotto gli occhi di re Juan Carlos, madridista doc. Perché il Real ne avrà pure 6, di coppe dalle grandi orecchie, ma vecchie ormai di oltre 20 anni.
La squadra c’è: i blaugrana di Terry Venables hanno eliminato la Juventus detentrice, e i loro gioco è illuminato dal tedesco Bernd Schuster. L’incognita è l’avversaria. Nel senso che in casa Barca, come nel resto d’Europa, se ne sa poco o nulla. Contro ogni pronostico infatti è arrivata in fondo la Steaua di Bucarest, squadra dell’esercito romeno che in patria vanta una striscia mostruosa di partite senza sconfitta: ben 104. Ma non ha quasi mai giocato in notturna: nella bucarest strozzata anche economicamente dal regime diCeausescu è impensabile sprecare soldi accendendo i riflettori di uno stadio. Oltretutto gli uomini di Imre Jenei sono arrivati fino a Siviglia baciati da sorteggi fortunati e nella semifinale contro l’Anderlecht di Enzo Scifo hanno prevalso grazie al più classico dei catenaccio & contropiede. Eppure qualche talento, seppur misconosciuto, in squadra c’è: dal dentista ungherese Boloni, al libero Belodedici, passando per le punte Balint eLacatus, 22enne destinato a diventare l’idolo indiscusso dei tifosi (e a un fugace passaggio nella Fiorentina). In porta c’è un ragazzone transilvano di origini tedesche che studia ingegneria. Ha due baffoni da orco che lo fanno sembrare ben più vecchio dei suoi 27 anni. Si chiama Helmuth Ducadam. Un carneade assoluto a livello internazionale, tanto che nel suo cognome c’è una “k” dopo la “c” che in occidente nessuno scrive. Neanche lui può ancora saperlo, ma è la sua ultima notte da sconosciuto.
Se prima che Vautrot fischi, il pronostico è chiuso, quando si comincia a giocare le cose cambiano, e i catalani restano impigliati nelle trappole del non gioco romeno. La partita è tirata, esteticamente desolante. I minuti passano, il Barca no. Né nei 90’, né nei supplementari.
Quando scatta il momento rigori per decidere chi vincerà in campo sembra che resti un solo uomo. Anzi, un gigante vestito di verde. Il ragazzone di Arad, Transilvania: Ducadam.
Il primo a sfidarlo dagli undici metri è il capitano del barca, Alexanco: Ducadam respinge alla sua destra, a mezza altezza;
Il secondo è Pedraza: rasoterra maligno all’angolo destro, Ducadam è un giaguaro, ci arriva con una mano sola.
Poi arriva Pichi Alonso: tira lento, ma anche lui all’angolino. Ducadam sembra in trance, ormai è imbattibile e addirittura la blocca.
Nel frattempo sono andati in gol i romeni Lacatus e Balint. tocca a Marcos: è l’unico dei suoi che decide di cambiare angolo. Ma quello che ha visto fino a quel momento lo paralizza. Tira piano, e per l’inviolabile Ducadam prenderla in due tempi è uno scherzo.
Clamoroso a Siviglia, la Steaua Bucarest è Campione d’Europa. I giocatori festeggiano più increduli di quanto non siano esausti. Ducadam è un eroe, anzi, sulla stampa internazionale diventa “Superman”. Con le mani che hanno fatto l’impresa abbraccia compagni, tifosi (in 30mila invaderanno l’aeroporto di Bucarest per accogliere i campioni), stringe la destra diNicolae Ceausescu, che riceve la squadra al completo e premia con 100 dollari ciascuno i protagonisti dell’impresa che ha portato lustro alla sua Romania. Un’impresa figlia del collettivo con una nuova star sopra tutti, Ducadam appunto, che viene nominato calciatore romeno dell’anno, è in lizza per il Pallone d’Oro e attira l’attenzione del Manchester United. Non se ne farà niente, perché la gloria e la fortuna per lui finiscono prestissimo e in modo drammatico. Il 12 giugno 1986 viene operato d’ urgenza per una trombosi al braccio destro che scongiura per un soffio l’amputazione. La carriera di Ducadam è finita, 36 giorni dopo il trionfo di Siviglia. In quella Bucarest misera e cupamente misteriosa.
Alla versione ufficiale credono in pochi. Cominciano a diffondersi le ipotesi più disparate: fratture da caduta, artrite fulminante, addirittura una fucilata durante una battuta di caccia, ma la tesi più famosa è quella più inquietante: le mani di Ducadam, quelle che hanno portato la Coppa Campioni per la prima volta aldilà della cortina di ferro, sono state spezzate dal pestaggio degli uomini della Securitate (la famigerata polizia segreta rumena): un pestaggio ordinato dal primogenito (adottivo) di Ceausescu, Valentin, cui Ducadam aveva rifiutato di consegnare la lussuosa Mercedes avuta in dono nientemeno che dal più blasonato degli spettatori di Siviglia: Juan Carlos di Borbone, re di Spagna, antibarcelonista convinto.
È una leggenda che vive di vita propria e fa ilgiro del mondo, ma a sorpresa anni dopo (col regime ormai deposto) è lo stessoHelmuth Ducadam a smontarla. E neanche in quel caso resteranno tutti convinti. Di certo non è leggenda che il portierone nel 1989 provi a tornare in campo nelle serie minori, e riesca in una delle pochissime apparizioni a parare due rigori nella stessa partita di Coppa con la maglia del Vagonul Arad, di cui è portiere-presidente. Ma le mani della sua fortuna non sono più tali e col calcio è finita. Il dopo è fatto di ristrettezze: la Steaua se lo dimentica e la pensione della polizia di frontiera è di 150 dollari al mese. Una miseria, tanto che qualche anno dopo Ducadam è costretto a vendere per 3000 dollari a un collezionista i guantoni delle prodezze di Siviglia, che gelosamente aveva tenuto stretti prima di alzare la coppa. Poi tenta la sorte negli States con la famiglia fino a quando, inaspettatamente, arriva l’inatteso happy end: il controverso Gigi Becali,patron della Steaua lo richiama a Bucarest. Lui, con parecchi kg in più e senza i suoi caratteristici baffoni torna e accetta di buon grado la poltrona di presidente onorario. Anche l’UEFA lo celebra nominandolo suo ambasciatore.
L’affetto della gente, quello non era mai venuto meno.
Di recente ha raccontato le emozioni di quella fatidica notte spagnola: “Io non ero mai stato un pararigori. Ma quella sera entrai nella testa dei miei avversari, capii cosa pensavano che io avrei fatto e attuai le contromosse”.
Al resto pensarono quelle mani, le uniche nella storia capaci di fermare 4 rigori su 4 in una finale di Coppa Campioni, mani imbattibili tra i pali di una porta, troppo fragili e sfortunate fuori.